Per informazioni scrivere a: info@chiesadelgesu.org
Da diversi anni, l’impegno congiunto della Sovrintendenza, del Fondo per gli Edifici di Culto (FEC) del Ministero dell’Interno e della Rettoria, opera per l’allestimento di un Museo presso la Chiesa del Gesù, a Roma. Nei locali sottostanti l’Antica Sagrestia, che un tempo ospitavano, tra l’altro, una Cappella per una delle Congregazioni Mariane attive presto la Chiesa del Gesù, è in allestimento questo Museo destinato a raccogliere e ordinare gli arredi di Sagrestia. Il Museo vuole essere anche uno spazio espositivo per esposizioni temporanee e mostre a tema, legate all’apostolato spirituale, intellettuale e sociale della Compagnia. In definitiva il Museo intende fornire ad un tempo la possibilità di conoscere meglio il massimo Monumento legato alla Compagnia di Gesù e rinviare ai Musei della Città nei quali sono custodite le antiche collezioni del Collegio Romano; inoltre desidera illustrare la nascita e lo sviluppo della Compagnia di Gesù e il contributo che essa ha dato al progresso dell’evangelizzazione e delle scienze; infine desidera offrire una panoramica dell’incontro con le culture di tutto il mondo legato al lavoro missionario e di promozione umana che la Compagnia di Gesù ha svolto e svolge nei cinque Continenti.
Museo della sagrestia nuova
La Sagrestia
La sagrestia è il luogo nel quale sono ordinati e si conservano gli arredi e le suppellettili necessarie ai riti sacri. Essa è sempre contigua alla Chiesa e viene usata come il luogo nel quale i ministri del culto si preparano alle funzioni religiose. Perciò è una parte integrante della Chiesa e un luogo indispensabile per il suo funzionamento. La Sagrestia del Gesù si è formata con l’entrata in funzione della nuova Chiesa; il primo nucleo delle suppellettili dei parati sacri proveniva dalla Chiesetta della Madonna della Strada, il cui titolo parrocchiale fu trasferito alla vicina Basilica di S. Marco quando il Papa Paolo III Farnese la concesse a S. Ignazio per la Compagnia di Gesù, da lui stesso approvata il 27 settembre 1539.
Oggi è difficile dire cosa sia rimasto di quelle poche cose; l’usura, prima di tutto, le dolorose vicende storiche che coinvolsero la Compagnia di Gesù, le dispersioni e i furti spiegano la scomparsa di quei primi arredi come anche di molti che nel tempo andarono ad arricchire il patrimonio religioso ed artistico della Chiesa Madre della Compagnia. Ad ogni modo, ciò che oggi rimane ed è esposto, benché non sempre di altissimo pregio, testimonia della cura che fu data al culto e attesta, altresì, la devozione dei fedeli che, lungo il tempo, hanno voluto dotare la Chiesa per la loro devozione o in occasioni di solennità particolari o anche per eventi importanti della vita propria e della famiglia. In passato, infatti, era abbastanza comune per le dame donare il proprio abito da sposa o, in caso di vedovanza, l’abito di gala, perché con esso venissero confezionali apparati sacri. Allo stesso modo, non era infrequente che in occasione di matrimoni, i membri di famiglie principesche o facoltose donassero il calice per la celebrazione della messa. Vi era chi donava reliquiari in onore di un Santo al quale era devoto o argenteria per il culto per sciogliere un voto; qualcuno consegnava alla Chiesa reliquie appartenenti alla famiglia, perché vi venissero custodite. Accadeva pure che dei Prelati legassero per testamento apparati liturgici o che ne donassero per devozione ai Santi della Compagnia o per circostanze particolari.
I registri degli inventari compilati in varie epoche menzionano paliotti d’altare confezionati da artisti di grande rinomanza, come pure candelieri e altre suppellettili oggi scomparte perché vendute allo scopo di fare fronte a difficoltà economiche o per pagare l’ingente tributo imposto da Napoleone Bonaparte al Pontefice a seguito del trattato di Tolentino. La Compagnia di Gesù in quel periodo era stata soppressa nella Chiesa universale e sussisteva solamente in Prussia e nella Russia, dove la Zarina Caterina II aveva proibito che si pubblicasse il Breve papale che estingueva l’Ordine. Nella necessità di reperire materiale prezioso per pagare l’ingente tributo, furono pertanto sacrificati oggetti di grande pregio artistico che ornavano gli altari in molte chiese e una sorte uguale toccò alla statua in argento di S. Ignazio, modellata dal Le Gros, sicché quella che oggi si può ammirare è solamente una copia in stucco a opera di Adamo Tadolini, allievo del Canova, fatta eccezione per la Casula, che essendo modellata in una lega di scarso pregio fu ritenuto inutile fondere.
Quando la Compagnia, ripristinata da Pio VII il 7 agosto 1814, riprese possesso della Chiesa, si ritrovò con un edificio molto segnato dal tempo e dai 40 anni di assenza e fu necessario intervenire massicciamente, sia per risanare la struttura, sia per ridarle decoro. Ma solamente dopo 30 anni, nel 1843, per la munificenza del Principe Torlonia che si diede inizio a lavori; essi se per un verso risanarono il monumento, per un altro ne sacrificarono pesantemente l’aspetto; basti ricordare il completo rifacimento dell’altare maggiore, ad opera del Sarti, il quale, pur ispirandosi all’altare di S. Francesco Saverio, disegnato da Pietro da Cortona, sortì un risultato piuttosto deludente; con ogni probabilità quella rivisitazione dell’antico compiuta in un tempo in cui il neoclassico era dominante aveva mortificato l’ispirazione artistica procurando un danno irrimediabile all’antica armonia dell’interno e dispiaceri all’autore.
Contemporaneamente la decorazione a fresco subì interventi alquanto disinvolti così da cambiare qua e là in modo pesante l’aspetto delle figure, pur conservando l’impianto di base. L’arredo, fortemente impoverito per le ragioni anzidette, fu sostituito quasi interamente con suppellettili nel nuovo gusto e spesso di fabbricazione seriale. Salvo poche eccezioni, l’argenteria non presenta pezzi antichi, comunque nessuno dell’epoca di S. Ignazio e della fondazione dell’Ordine. Occorre aggiungere che solamente con l’affermarsi del barocco e per il convergere verso la Compagnia della benevolenza di persone abbienti la Chiesa fu dotata di suppellettili di pregio.
Attualmente si può dire che in generale non molti pezzi sono antecedenti la soppressione della Compagnia nel 1773; pertanto si tratta per lo più di argenti provenienti da chiese e cappelle già appartenute alla Compagnia e qui trasferiti alla loro chiusura; il materiale esposto appartiene ad epoche diverse, in particolare si possono notare alcuni apporti ottocenteschi e del primo ‘900 di notevole interesse.
Merita una nota la collezione di calici votivi donati ogni anno dal Comune di Roma in ossequio a un voto della municipalità. I più antichi sono di argentieri romani attivi dal sec. XIX; i più recenti provengono da manifatture seriali non sempre romane. Quanto ai paramenti, al rientro della Compagnia nel 1814 molti di essi erano usurati e, in ossequio alle disposizioni tridentine, eliminati, fatta eccezione per qualche parato di grande pregio o di memoria particolare; alcuni, dato lo scarso uso si erano ben conservati. Il corredo esistente (e quasi completamente musealizzato dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II) è tuttavia molto ricco e, rispetto al vasellame liturgico, distribuito in un arco temporale più ampio e anche meglio conservato sicché la Sagrestia del Gesù conserva oggi parati di grande pregio, sia per le stoffe, sia per il fine lavoro di ricamo; alcuni tra i pezzi di maggio valore artistico sono esposti nelle vetrine.
La cappella della Natività di Maria
La Sagrestia nuova, destinata a custodire la raccolta ordinata del materiale non più di uso ordinario ha trovato degna collocazione nella Cappella dedicata alla Natività di Maria. Essa si trova al di sopra delle Cappelle di destra della Chiesa del Gesù. In origine si trattava solamente di spazi dai quali si potevano raggiungere i Matronei, dove i Padri dell’attigua Casa Professa potevano seguire le predicazioni e le funzioni che si svolgevano in Chiesa. L’assetto attuale si deve alla «Congregazione intitolata alla Natività della Beata Vergine Maria», fondata nel 1594, meglio nota come Congregazione mariana dei mercanti, i quali chiesero di trasferire qui la loro Cappella, che si trovava in un ampio locale tuttora esistente sotto la Sagrestia antica. L’umidità aveva reso male agevole l’attività di questa Congregazione che, ottenuto dal P. P. Pietro Giovanni Beckx, Generale della Compagnia, l’uso dei locali superiori, provvide ad allestire una Cappella nella quale continuare le attività usuali, cioè le conferenze, la recita del rosario e la celebrazione della Messa nei giorni festivi.
L’Oratorio della Congregazione della Natività di Maria racchiude un raro e sconosciuto capolavoro dell’arte ottocentesca italiana.
Per dare un assetto più solenne alla nuova sede della Congregazione furono incaricati alcuni dei maggiori artisti del tempo, segnatamente Cesare Mariani e Carlo Gavardini, coadiuvati da Enrico Marini per le decorazioni. Essi illustrarono nelle lunette le storie della Vergine, in parte derivate dalla tradizione devota e in parte desunte dal Vangelo apocrifo di Giacomo. Sulle volte dipinsero i dottori della Chiesa e i profeti i cui testi, secondo la tradizione, alludono a Maria e alla sua immacolata concezione. Tutto il programma iconografico risente della devozione mariana, accresciuta dopo la proclamazione del dogma dell’Immacolata ad opera del papa Pio IX e le apparizioni di Lourdes, che gli diedero un impulso decisivo a livello di consenso e di pietà popolare. È singolare il fatto che il ciclo pittorico sia stato eseguito nell’anno stesso dell’unità d’Italia e che i frescanti ai quali si devono queste opere siano i medesimi che hanno operato con risultati di alto livello nei palazzi della nuova amministrazione statale.
Dal primitivo oratorio fu trasportato l’altare ottocentesco di diaspro di Sicilia, decorato sulla fronte con uno scudo bronzeo sul quale campeggiano quattro foglie di palma. L’opera, attribuita a Lorenzo Ottoni, fu posta in situ durante i lavori del 1861 per sostituire un altare argenteo di cui si fa nota nei resoconti delle celebrazioni per il bicentenario della Congregazione, festeggiato nel 1794. L’altare è sormontato dal gruppo marmoreo rappresentante la Vergine Immacolata e due angeli.
La parete dell’abside, dietro l’altare, è dipinta con un cielo stellato circondato da un fregio damascato, percorso da teste di cherubini disposti a formare una ghirlanda intorno alla statua della Vergine.
Lungo tutte le pareti si dispiega un drappo dipinto e ornato dall’alternanza del monogramma MA che sormonta una mezzaluna, simboli di Maria, e una pigna adagiata su una foglia.
Ma è nella parte superiore che si ammira l’eccelsa opera pittorica rappresentante scene della vita della Vergine e figure femminili bibliche nelle lunette, Dottori della Chiesa e Profeti nelle volte.
Il Giornale di Roma risulta essere fin’ora la fonte più attendibile ed esaustiva riguardo gli artisti che si fiancheggiarono e l’attribuzione alle singole opere: Cesare Mariani, Carlo Gavardini da Pesaro e il romano Enrico Marini.
L’arco sopra l’altare è diviso in poligoni, al centro vi è l’effige del Creatore rappresentata dalla colomba bianca su un sole dorato, ai lati due figure femminili allegoriche recano i cartigli Rosa Mistica e Stella Matutina, altre due sono rappresentate nel sottarco che divide i due ambienti e sui loro cartigli è scritto Turris Eburnea e Janua Coeli. Due di queste figure rivolgono lo sguardo al cielo, le altre alla terra.
Le volte delle campate sono divise in quattro vele da costoloni dipinti a finto stucco, con decorazioni in oro; nelle vele sono rappresentati su uno sfondo a finto mosaico con tessere d’oro, nel primo ambiente due Dottori della Chiesa Latina, Sant’Ambrogio e San Bernardino, e due Dottori della Chiesa Greca, San Giovanni Crisostomo e San Giovanni Damasceno. Nel secondo ambiente i Profeti che vaticinarono le meraviglie della Vergine: Mosè, Davide, Isaia ed Ezechiele, con i cartigli delle loro profezie.
Il primo ambiente nel quale si accede dalla scala a chiocciola è stato dipinto da Carlo Gavardini da Pesaro, il quale realizzò le tre lunette della sala: a sinistra entrando vi è la lunetta che rappresenta lo Sposalizio della Vergine, regolata da una simmetria strutturale e formale. Al centro vi sono le figure di Maria e Giuseppe le cui mani si sfiorano nell’atto di infilare l’anello nuziale, alla presenza del sacerdote. Il gruppo si trova in posizione leggermente rialzata, posto su due gradini, mentre ai lati assistono alla scena due gruppi di figure: le donne che fiancheggiano la sposa e figure maschili al fianco dello sposo.
Sul lato opposto della sala vi è l’Annunciazione, dipinta con una composizione più semplice e un’ambientazione essenziale: l’Arcangelo Gabriele appare a Maria distogliendo la sua attenzione dal libro che sta leggendo, al centro il fascio di luce dello Spirito Santo illumina il giglio, simbolo di purezza virginale, insolitamente raffigurato in un vaso.
Sulla parete sopra l’ingresso dell’Oratorio è dipinta un’altra lunetta con l’Incoronazione di Maria Regina del Cielo e della Terra per mano di Gesù, suo figlio, alla presenza degli stessi santi e personaggi raffigurati nell’Oratorio.
Le otto figure bibliche femminili negli angoli, alle estremità delle lunette, alludono alla dedicazione dell’Oratorio, interamente consacrato al culto della Vergine. Nella lunetta con lo Sposalizio vi sono Susanna che è immagine della fedeltà coniugale e Rachele, la sposa di Giacobbe, in atteggiamento riflessivo, che domina sugli idoli ai suoi piedi come la Fede vittoriosa sull’idolatria. Nella lunetta dell’Annunciazione da un lato è Rebecca che veste il bambino di poveri panni per sostituire Giacobbe ad Esau, dall’altro Mosè salvato dalle acque del Nilo.
Nel secondo ambiente in cui si accede vi sono due lunette, delle quali quella sulla parete sinistra rappresenta l’Immacolata Concezione di Maria; la scena è qui rappresentata in un’insolita iconografia: al centro la Vergine Immacolata risplende su un trono di nubi ed è circondata da raggi dorati in una corona di stelle. Ricorda piuttosto la donna vestita di sole dell’Apocalisse. Sulla sinistra della Vergine troviamo Adamo ed Eva, con ai piedi il serpente e il frutto del peccato, colti nel momento della vergogna e indicati da Dio Padre, nell’altro lato della scena, sorretto da angeli fatti di nubi. L’Eterno mostra ai progenitori Colei che è senza peccato.
Circa l’attribuzione non ci sono dubbi, a destra, tra il verde del prato il pittore ha apposto la sua firma in un elegante corsivo: C. Mariani 1861.
Nella lunetta di fronte, sulla parete destra, nello stesso riquadro sono dipinti i due momenti dell’Annuncio a Gioacchino e della Natività della Vergine.
Per quel che concerne le figure femminili bibliche nella seconda sala troviamo nella lunetta dell’Immacolata Concezione Ester con scettro e corona simbolo di Giustizia, in trono perché vittoriosa su Assuero ; Giuditta con la testa di Oloferne in una mano, la spada sguainata nell’altra, è simbolo di Salvezza.
Nella lunetta di Anna e Gioacchino, Sara la fondatrice della generazione di Maria e Debora la vincitrice di Sisara, che ha come attributi la tromba della Vittoria e i resti dell’armatura e indica il cielo con un dito.
Le scene figurate sono unite tra loro da una fitta decorazione a grottesche su fondo giallo e cornicioni dipinti a finto stucco con inserti dorati; nei sottarchi sono dipinte all’interno di cornici poligonali delle candelabre, arricchite da esili cigni che col becco sostengono fili di perle. Al centro della composizione vi sono piccoli scudi con immagini e simboli alludenti al culto della Vergine. Per queste decorazioni in cui prevale l’ornato è documentata la mano di un terzo artista: Enrico Marini, specializzato in questo tipo di pitture.
Tutta la decorazione è improntata su un programma teologico erudito e mai casuale, che può idealmente prendere avvio dai cartigli sorretti dalle figure nei sottarchi che recitano, in onore della Vergine, gli attributi: Rosa Mistica, Turris Eburnea, Janua Coeli e Stella Matutina. I temi mariani proseguono nei pennacchi delle volte, con le litanie della Madonna: eden spiritualis, turris fortissima, lignum vitae, templum puritatis, coelum vivum, splendor mundi, arca sancta, aula regalis, posuit immaculatam, pariet filium, virgo concipiet, caput tuum, ipsa conteret, princeps sedeb in ea, viam meam.
Nelle arcate delle finestre due targhe recitano rispettivamente Initium Salutis e Altrix Reparatoris di San Bonaventura.
La simbologia mariana è inoltre molto eloquente nella lunetta dell’Immacolata Concezione, dove troviamo un tripudio di vegetazione che appartiene all’erbario cristiano.
Arredo liturgico
1. Statue dei dodici Apostoli
In questa prima sezione sono raccolte le statue in bronzo dei dodici Apostoli (al posto di Mattia è stato messo S: Paolo). In origine esse erano così disposte: quattro sull’altare maggiore e precisamente i Santi Pietro e Paolo, Giovanni e Andrea; queste quattro statue furono dorate a foglia d’oro stesa su una pacciamatura di gesso che ha nascosto i tratti più raffinati delle sculture. Le rimanenti otto statue erano distribuite due a due sugli altro altari; oggi non sappiamo secondo quale ordine. Dalle carte d’archivio (cf P. Pecchiai, il Gesù di Roma), risulta che una prima committenza fu affidata ad Alessandro Algardi, il quale fuse due statue rappresentanti i Santi Giacomo e Giovanni, poi il lavoro si interruppe a causa della morte che lo colse prematuramente. La committenza fu data ad altri artisti e intanto si decise che le statue dovessero essere di dimensioni maggiori di quella nella quale l’Argardi aveva modellato le prime due, sicché quelle furono fuse di nuovo in scala più grande e similmente le altre. Appare anche all’osservatore meno esperto che le statue degli apostoli sono di mani diverse, benché tutte di eccellente fattura. A tutt’oggi mancano studi per l’attribuzione delle opere.
2. Statue dei Santi
Si distinguono per lo splendore della doratura e per lo stile inconfondibile le otto statue di Cito Ferri (1634 – 13 settembre 1689), allievo e continuatore di Pietro da Cortona, autore dell’altare dedicato a S. Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù. Le statue gli furono ordinate dal Cardinale Francesco Negrone, il quale aveva il patronato del transetto di destra, che ospita l’altare dedicato a S. Francesco Saverio. Il Negrone aveva già finanziato la decorazione a fresco, affidata al pennello del Carlone; più tardi aveva voluto onorare il Santo al quale l’altare è dedicato decorandolo con una serie di Santi tutti di nome Francesco con l’aggiunta di S. Teresa d’Avila, S. Isidoro di Madrid e S. Filippo Neri, canonizzati nel marzo del 1622 assieme allo stesso S. Francesco Saverio e a S. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, il cui altare si trova dirimpetto a quello del Saverio, nel transetto di sinistra.
3. Paramenti sacri
Sono esposti alcuni apparati sacri di particolare pregio. Tra essi la pianeta Farnese (seconda metà sec. XVI), i cui ricami sono dovuti a una valente ricamatrice, rimasta nella memoria col nome di Pellegrina (Ludovica Antonia pellegrini). I riquadri che ornano la pianeta, che fu usata anche sa S. Francesco Borgia, sembrano composti a partire dai cartoni preparati da una mano di straordinaria perizia: non è improbabile l’ipotesi di un utilizzo tardo di cartoni di ambito raffaellesco. È più che un’ipotesi il fatto che essi in origine costituissero il fascione ornato di un piviale e solamente più tardi siano stati utilizzati per ornare la pianeta, la quale, purtroppo subì manipolazioni importanti: i ricami furono ritagliati, adattati e cuciti su un tessuto diverso dall’originale e in parte ricoperti da strisce ornamentali. I ricami conservati, finissimi, costituiscono tuttavia una testimonianza di alto livello raggiunto da questa arte. Notevolissimo il lavoro di ricamo della pianeta Nithard (seconda metà del sec. XVII). Splendida le decorazione della pianeta del Paluzzo Altieri (fine sec. XVII). Di grande interesse le stoffe e i broccati delle manifatture napoletane.
4. Argenti
Nelle vetrine sono esposti degli arredi: calici, turiboli, ostensori. Alcuni di essi sono doni in occasione di matrimoni illustri o di devoti alla Chiesa e alla Compagnia di Gesù.
Merita una menzione particolare la muta di Cartegloria dell’altare di S. Ignazio dovuta all’arte di JohannAdolph Gaap (1699-1702; si tratta, secondo il parere degli esperti, “l’opera più celebre dell’argenteria barocca romana” (A.M. Pedrocchi).
5. Quadreria
Espone tele raccolte dalla Sagrestia del Gesù lungo i secoli. Alcune di esse sono di notevole interesse: in particolare merita una menzione il confronto tra il Baglione e il Vanni sul medesimo soggetto: «il Cardinale Sfrondato in preghiera dinanzi a S. Cecilia e altri martiri», ad entrambi commissionato dallo stesso Sfrondato. Notevole il S, Lorenzo, di autore di area caravaggesca. Intensissimo il Gesù nell’orto di Patini.
6. Reliquie
La Chiesa ha sempre venerato le reliquie dei Martiri e dei Santi come il “luogo” concreto nel quale la Grazia di Dio ha operato così che quelle persone sono divenute immagine di Cristo e modello per i credenti. Fin dalle epoche più remote, il possesso di reliquie insigni costituisce il vero tesoro della Chiesa che le custodisce. Attraverso la venerazione delle loro reliquie, i fedeli chiedevano l’intercessione dei Santi presso Dio. Il Santo, infatti, è vivente presso Dio ed è un soggetto giuridico che può possedere ed ereditare e chi ne conserva le reliquie deve amministrarne i bene a favore dei poveri e dei pellegrini. Nel Medioevo si assisteva addirittura al furto delle reliquie e dei corpi santi, dal momento che il loro possesso poteva determinare sostanziali mutamenti del flusso dei pellegrini, della geografia dei mercati e, col peso economico, veniva fortemente condizionato anche il potere amministrativo. Un altro aspetto non meno importante legato al possesso delle reliquie e al loro culto era la loro provenienza. Le Chiese che non avevano un fondatore canonizzato o che volevano affermare la loro dipendenza da Roma emancipandosi, al esempio, dalla giurisdizione del re o di qualche potente monastero, cercavano di ottenere le reliquie di Santi romani, soprattutto i corpi dei Martiri ritrovati nei cimiteri della Città dei papi. La tutela spirituale esercitata dai Santi patroni, in ragione della loro importanza, stabiliva la gerarchia delle Chiese e dei Monasteri e sosteneva la giurisdizione degli uni sugli altri; così una Chiesa che godesse per patrocinio di un Apostolo e ne conservasse le reliquie poteva affrancarsi dalla giurisdizione metropolitana di una Chiesa vicina che conservasse le reliquie di un Santo di rango minore. Allo stesso modo, i sovrani europei fecero a gara per assicurarsi le reliquie direttamente collegate a Cristo; il re fi Francia comprò a caro prezzo dall’Imperatore di Bisanzio la corona di spine e per essa costruì a Parigi la Sainte Chapelle; l’imperatore del S. Romani impero si assicurò la lancia che trafisse il fianco del Redentore; la Corona ferrea con la quale venivano incoronati i re d’Italia conserva all’interno un cerchio di detto ricavato da un chiodo della passione; Amiens, in Francia, e Treviri, in Germania, conservano la tunica di Cristo; e numerose sono le Cattedrali che conservano il calice della Cena; Venezia enumera reliquie di altissimo valore, tutte provenienti – così come le altre menzionate – da Costantinopoli. Le reliquie poi venivano esposte nel giorno della festa per l’edificazione dei pellegrini e dei fedeli. Questi pochi accenni aiutano a comprendere quanto importante fosse possedere le reliquie più insigni e come dal loro numero dipendesse l’importanza della Chiesa che le custodiva e, di conseguenza, il loro custode.
La Sagrestia del Gesù conserva molte reliquie di Santi e Beati della Compagnia, alle quali si aggiungono altre reliquie giunte alla Chiesa per donazioni di Papi, di regnanti e di altre persone che hanno voluto consegnarle alla pubblica venerazione.
È a tutti noto lo “scandalo“ delle reliquie e delle indulgenze dell’età della Riforma. La polemica metteva il dito su una piaga aperta e, sia pure con gli eccessi ben noti, fu posto definitivamente un freno a una deriva che pareva inarrestabile e andava a colpire il sentimento dei semplici. In realtà gli antichi erano assai meno ingenui di quanto voglia farli apparire la critica moderna. Molte “reliquie” erano “autentiche” non nel senso che fossero riconducibili al Santo al quale si riferivano o all’oggetto particolare ad essi appartenuto; lo erano, invece, in quanto rappresentazione capace di suscitare la pietà. In tanti casi, per fare un esempio, il legno della S. Croce non era riconducibile alla “vera” croce di Nostro Signore, ma a una croce particolarmente venerata in qualche santuario; così per il velo della Vergine o per reliquie “impossibili” quali piume di angeli o brandelli della vela della barca di Pietro. Il valore della reliquia, di qualunque cosa si tratti, viene dalla sua capacità di evocare persone o eventi trascorsi suscitando la pietà. Col tempo la loro funzione fu in parte sostituita dalle rappresentazioni pittoriche o scultoree.
6.1. S. Croce
Le “reliquie” della S. Croce sono le più preziose ed occupano un posto particolare nel culto cristiano. Va detto che parlando di “reliquia della vera croce” non si deve intendere che si tratti della croce alla quale fu appeso Nostro Signore, anche perché la sua “invenzione” (ossia ritrovamento) da parte di Elena, madre dell’imperatore Costantino è posteriore all’Editto di Milano (313) e le cronache relative ad esso hanno un intento prevalentemente apologetico. Il culto della “vera croce” fonda il proprio valore nella fede, che proclama che la salvezza viene dal sacrificio di Cristo. Il culto prestato alla croce del Signore aveva ispirato artisti spesso sconosciuti, ai quali si devono rappresentazioni particolarmente suggestive e venerate e molti fedeli desideravano portare con sé un pezzetto, ancorché minuscolo della croce che si erano recati a venerare. Di qui il moltiplicarsi di tali reliquie, il cui valore oggi sfugge, ma che ai contemporanei era ben noto.
La Sagrestia del Gesù conserva alcune reliquie della croce di grande pregio, due in particolare si segnalano per la loro bellezza: sono incastonate in reliquiari di cristallo di rocca; attribuibili forse a maestranze nordiche (A.M. Pedrocchi) del secondo quarto del sec. XVII secolo. Altre croci di differente fattura e dimensione sono tutte riconducibili o all’uso liturgico o alla devozione privata. Il reliquiario della Santa Spina, anch’esso in cristallo di rocca, conserva una delle spine della corona conservata a Parigi e acquistata dal re S. Luigi IX dall’imperatore di Costantinopoli; per essa e per le altre preziose reliquie portate in Francia egli fece edificare la Sainte Chapelle. Dopo di lui i sovrani francesi presero la consuetudine di donare una delle spine della corona (che attualmente non ne ha più nessuna) a persone o Chiese di particolare importanza. Il reliquiario della Santa lancia è un pezzo straordinario, ottenuto con la tecnica a cera persa: l’angelo sul piedistallo regge, appunto una lancia, a ricordare la provenienza del frammento custodito nella teca. La lancia, così come la corona di spine o la tunica, la sindone o altro ancora, erano spesso trattenute dai sovrani nella loro cappella palatina quasi a fondamento della loro autorità regale, che si voleva discendere da Dio stesso. Una menzione particolare merita il “Volto Santo”, copia dell’immagine venerata a S. Pietro. Quella custodita presso la sagrestia del Gesù è una delle due copie autorizzate dal Pontefice Gregorio XV, in particolare si tratta di quella appartenuta alla Duchessa Sforza, la quale la destinò in morte alla Chiesa madre dei Gesuiti.
6.2. Santi e Beati della Compagnia di Gesù
Due armadi sono occupati dalle reliquie di alcuni Santi e Beati della Compagnia di Gesù. In particolare si segnala la reliquia del capo di S. Ignazio, esposta in un reliquiario ottocentesco, preparato in sostituzione di quello antico, mandato alla fusione, come tanti altri arredi, per il pagamento del trattato di Tolentino. Altri “documenti” importanti sono le maschere funebri di S. Francesco Borgia e S. Giuseppe Pignatelli: esse ritraggono le fattezze in morte del terzo generale della Compagnia e del grande e paziente tessitore della rinascita dell’ordine. Accanto a queste sono raccolte le reliquie insigni dei Santi che hanno illustrato la storia della Compagnia. La loro presenza così numerosa si spiega col fatto che nella Casa Professa del Gesù dimorava il Generale ed era il cuore dell’Ordine.
6.3. Altre reliquie
Nell’ultimo armadio sono custodite alcune reliquie di Santi provenienti da fonti diverse e non sempre documentate. È noto, tuttavia, che il conferimento di reliquie, specie di martiri e santi verso i quali si muoveva la devozione dei fedeli attribuiva particolare prestigio alla Chiesa che le custodiva, pertanto il dono di esse da parte di Pontefici, Sovrani o Prelati era il segno del credito da essi riconosciuto all’Ordine e alla sua Chiesa Madre. In particolare si può notare una reliquia del santo re di Francia Luigi IX, così come dell’imperatore Enrico IV di Boemia. La loro presenza si può forse spiegare col fatto che dal tempo di Enrico IV di Navarra il confessore del re di Francia fu generalmente un gesuita, e che i Padri della Compagnia erano molto vicini ai Sovrani del S. Romano impero.
Un discorso particolare va fatto per le “reliquie” costituite da oggetti attribuiti ai Santi. In passato non interessava tanto il loro valore storico, quanto piuttosto il significato simbolico. Questo vale in particolar per le “reliquie” mariane, dove p. es. la “reliquia dei Capelli della Madonna” non va riferita alla persona fisica della Madre del Signore, quanto piuttosto a qualche immagine taumaturgica ornata, in quel caso con capelli veri offerti da una donna in occasione dello scioglimento di un voto. Lo stesso per quanto riguarda parti di abiti.