Is 7,10-14; Sal 23,1-2.3-4ab.5-6; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24
Il tempo di Avvento è caratterizzato dall’annuncio e dalla promessa della venuta del Signore.La quarta domenica mette in luce il modo in cui Dio viene a visitarci: entra nella storia concreta degli uomini rivestendosi della carne dell’umanità e condividendone la fragilità e la debolezza fino in fondo.
Il mistero dell’Incarnazione non è semplicemente necessitato dal nostro peccato, non è neppure un rimedio alla nostra colpa; esso è un puro atto di amore.
Noi possiamo accedere alla vita di grazia perché Cristo si è fatto uomo e ci ha dato questa possibilità.
Se siamo stati creati esseri viventi a immagine di Dio, tuttavia possiamo condurre una vita spirituale, e dunque avere Dio come fine, proprio in forza della venuta di Cristo nella nostra natura.
La nostra carne è stata creata a immagine e somiglianza del Figlio e per questo destinata alla salvezza.
La salvezza non è pertanto riducibile alla sola redenzione.
Dio è capace di salvezza perché sceglie di uscire da se stesso per donarsi a noi e così renderci partecipi della comunione con lui.
Questo è il progetto di amore – e quindi di salvezza – che da sempre Dio ha per l’uomo, nonostante e oltre il suo peccato.
La grande fatica e prova dell’uomo è però il fidarsi di questo disegno.
L’annuncio di Isaia accade mentre a Gerusalemme arriva la notizia che l’esercito di Damasco e di Samaria si sono uniti e marciano contro il piccolo regno di Giuda.
È una notizia che getta scompiglio e agita il cuore del re e del popolo.
L’unico che ha piena fiducia in Dio e non trema davanti a questa voce è proprio il profeta, che sceglie di credere nella promessa.
In forza di questa fede va incontro al re che sta perlustrando le sue fortificazioni, per invitarlo a non avere paura, a non cercare nelle alleanze la propria sicurezza, ma di affidarsi unicamente al Signore.
Sebbene Dio sia disposto a dare un segno concreto che aiuti a credere, Acaz non ha il coraggio di confidare unicamente nel Signore e adduce in modo ipocrita una scusa camuffata da motivi religiosi.
È in questo contesto di paura e di realtà mascherata che risuona l’oracolo dell’Emmanuele: cioè della volontà di Dio di essere con noi sempre.
Di fronte all’incredulità del re, che viene rimproverato dal profeta, risuona la parola di speranza.
Il Natale mette in luce questo mistero di amore: Dio non si allontana dalla nostra incredulità, ma la vince facendosi fratello e prossimo degli uomini peccatori.
Questa tenace volontà di salvezza è narrata anche nel vangelo.
Gesù è generato nel grembo della vergine che lo accoglie in virtù dello Spirito: è dunque un dono che viene dall’alto, perché ha origine in Dio, che tuttavia fruttifica nella profondità del cuore di chi lo accoglie.
La salvezza è il frutto di un’azione sinergica di dono e di accoglienza, di alto e di basso, di Dio e dell’uomo.
Accogliendo Maria, Giuseppe accoglie Gesù come dono da Dio, ma spetterà a lui dargli il nome posto sotto il cielo in cui gli uomini trovano salvezza.
Se Dio ci ha creato senza di noi, non vuole salvarci senza che noi collaboriamo a questo disegno di amore.
L’elemento che ci permette di sperare sempre è il segno dato a ciascuno: Gesù non si inserisce in una genealogia di persone perfette, ma annovera tra i suoi antenati un’umanità concreta, fatta anche di peccatori, di increduli e di omicidi.
Nessun peccato può essere così grande da impedire all’Emmanuele di essere il Dio con noi.
Ciò significa che Dio si fa trovare solo da chi lo sa cercare nell’umanità concreta, perché ha voluto uscire da se stesso per donarsi a noi per sempre.
Ci sono però tre condizioni per trovarlo.
Non bisogna rimanere chiusi nel passato. Isaia esortava i suoi fratelli a non ricordare più le cose passate.
Chi sogna di rifare le cose di prima non è un uomo costruttore di speranza.
Bisogna poi avere il coraggio di ammettere che la situazione in cui ci troviamo è causata dalla nostra personale responsabilità, senza scaricare le colpe su altri o su altro.
Viviamo una realtà secolarizzata, consumistica ed egoistica perché noi ci siamo resi profani e ci siamo allontanati dall’originario amore e dalla verità del vangelo.
L’umiltà vera, il pentimento sincero e la conversione autentica sono gli atteggiamenti necessari che ci rendono disponibili ad accogliere il Natale del Signore, cioè il suo essere Dio-con-noi.
Infine, conformando la nostra speranza su Cristo, sappiamo bene che il bene e il male toccano i fatti quotidiani e la vita di ogni giorno.
Ciò significa che dobbiamo noi iniziare a cambiare, a rinnovarci interiormente, ad accogliere l’amore dell’Emmanuele per vivere del suo amore.
Il Figlio di Dio ritornerà nella sua gloria quando noi lo renderemo manifesto, quando immergeremo ogni realtà nel suo amore e nella sua salvezza.
O Emmanuele, che vieni nella nostra storia per congiungerci e unirci a Dio, trasforma il nostro cuore, rendici trasparenza della volontà del Signore di essere con noi per sempre, perché non dimentichiamo nel nostro quotidiano che la speranza è una virtù si diffonde in modo orizzontale più che verticale.
Intercedano per noi Maria e Giuseppe che hanno accolto l’annuncio dell’angelo e si sono fidati della Parola del Signore, perché possiamo portare frutti di giustizia e di vita.